etta lisa basaldella

         personal photo gallery

isole aran

di virgilio boccardi   giornalista

Nel mese di Settembre 1972 mi trovavo  in Irlanda per girare un documentario televisivo sulle Aran, tre piccole isole di pescatori ed emigranti, sperdute nell′Oceano Atlantico, che poco più di quarant′anni prima il regista Robert J. Flaherty, americano di adozione, ma irlandese di nascita, aveva reso famose con il suo film “Man of Aran”. Mi accompagnava una piccola troupe, tra cui Etta Lisa Basaldella, agli inizi della sua carriera televisiva ed ora come interprete e segretaria di edizione.
Già conoscevo le Aran, per esservi approdato qualche anno prima da turista curioso; subito ero rimasto affascinato da quel paesaggio desolato, segnato da centinaia e centinaia di muretti di pietre a delimitare minuscoli fazzoletti di verde; ero rimasto affascinato dalle tipiche case con il tetto di paglia, thatches, dalle barche di vimini e tela catramata, curraghs, dai resti di piccoli eremi, dai cimiteri abbandonati, e poi, da “Dun Aengus”, la massiccia fortezza, forse innalzata dai Fir Bolg, una popolazione irlandese del 3.200 a.C..
Mi ero ripromesso di ritornarvi per descrivere con la pellicola il paziente scorrere di giorni e fatiche, di lotte col mare, col vento degli abitanti di questi scogli dimenticati: per documentare che cosa era cambiato in quarant′anni, dopo Flaherty. E di tutto questo, avevo parlato a Etta Lisa durante il viaggio attraverso     l′Irlanda per raggiungere Galway, dove ci aspettava la “Naom Eanna”, una specie di carretta, che ci avrebbe portato a Inishmore, l′isola più grande.  Etta Lisa aveva con sé una macchina fotografica con due obiettivi. Ricordo che non c′era croce celtica, non c′era chiesa, non c′era cimitero che non costituisse per lei soggetto degno di essere immortalato con l′obiettivo. Ora la vedevo appollaiata su un muro, ora distesa sull′erba, ora in ginocchio; sembrava sin dai primi “scatti” una professionista incallita. Ma fu soprattutto alle Aran che compresi la sua sensibilità profonda, per come si entusiasmava davanti a questo o a quel soggetto, per il taglio con cui lo inquadrava, per il gusto del particolare. E fu alle Aran che mi confessò che era quello il suo primo approccio con la fotografia, scoprendo quanto fosse affascinata dall′immagine. La macchina fotografica stava per diventare il suo più felice mezzo di espressione. E così è stato.
Nel suo vagabondare per il mondo, in Africa, Oceania, Asia, Europa, nelle Americhe, le sue immagini non sono subordinate ad un evento preciso, ma vivono quella capacità evocativa che esse suscitano; comunicano da sole per quella forza intrinseca che posseggono. Sono immagini che esprimono il loro significato al di là del momento in cui sono state fissate. Più che il passaggio, a lei interessa soprattutto l′uomo inserito nell′ambiente; interessano i volti, le mani, gli occhi.
Così alle Aran Etta Lisa ha saputo cogliere la sintesi di questa terra desolata, trasferendone sulla carta tutta
 l′atmosfera. Il suo è sempre un eloquente racconto per immagini, intriso di poesia, senza mai cadere nel banale, nell′ovvio o retorico. Anche il grande evento, riesce a ridurlo a storia minima, rendendo percepibile a tutti la realtà vissuta.
Etta Lisa istintivamente ha colto la lezione di Cartier-Bresson, il grande Maestro: “Affinchè una fotografia sia in grado di comunicare il soggetto in tutta la sua intensità, le relazioni formali devono essere rigorosamente stabilite. La fotografia implica il riconoscimento di un ritmo nel mondo delle cose concrete. La composizione non è un elemento che si aggiunge a posteriori… essa è invece dotata di una sua necessità ed é impossibile separare il contenuto dalla forma”.     <indietro